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Novita' legali e giurisprudenziali
Lo scopo della presente sezione e' quello di focalizzare l'attenzione su argomenti di comune interesse nella vita di tutti i giorni, per spiegare se e cosa è cambiato, quali opportunità sono sorte e quali sono state soppresse.
Del resto, si sa, per tutelare un diritto, e' indispensabile prenderne coscienza. Non si può tutelare un proprio diritto, se non si conosce di averlo.
(Busto Arsizio, 20.10.2013)
Avv. Cinzia A. Garatti
ULTIME NOTIZIE
04/06/2024 |NASPI ANTICIPATA - LA CORTE COSTITUZIONALE LIMITA L'OBBLIGO RESTITUTORIO
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 90/2024, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, comma 4, D. Lgs. 22/2015, nella parte in cui non limita l'obbligo restitutorio dell'anticipazione della Naspi nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l'attività di impresa per la quale l'anticipazione gli era stata erogata.
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E' noto che il lavoratore avente diritto alla corresponsione della Naspi può richiedere la liquidazione anticipata, in un'unica soluzione, dell'importo complessivo del trattamento che gli spetta e che non gli è stato ancora erogato, a titolo di incentivo all'avvio di un'attivita' lavorativa autonoma o di impresa.
Qualora il medesimo lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui e' riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI e' tenuto a restituire per intero l'anticipazione ottenuta.
Nel caso di specie, la scure di costituzionalità si è abbattuta proprio sulla misura dell’onere restitutorio (restituzione per intero) per violazione dei principi costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza, limitando l’obbligo restitutorio al solo periodo coperto dal rapporto di lavoro subordinato, qualora il Lavoratore, per cause a lui non imputabili e quindi senza colpa si trovi nella situazione di non poter proseguire l’attività imprenditoriale avviata (nel caso di specie, si trattava dell’attività di bar, duramente colpita dalla pandemia Covid, con la conseguente necessità del Lavoratore di cessare l’attività stessa e reperire un nuovo lavoro subordinato).
10/03/2024 |JOBS ACT: LA TUTELA REINTEGRATORIA SI APPLICA A TUTTI I CASI DI NULLITA' DEL LICENZIAMENTO PREVISTI DALLA LEGGE E NON SOLO A QUELLI "ESPRESSAMENTE" PREVISTI
La Corte costituzionale con sentenza n. 22 del 2024 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, primo comma, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, limitatamente alla parola "espressamente", così estendendo la tutela reintegratoria a tutti i casi di nullità del licenziamento e non solo alle ipotesi in cui la detta nullità sia espressamente sancita dalla Legge.
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La scure si è abbattuta a motivo della violazione dell'art. 76 della Costituzione, ossia per violazione da parte del Governo del criterio di delega fissato dall'art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act).
Tale disposizione delegava il Governo la "c) previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento”.
Il Governo, dunque, non era legittimato a limitare ulteriormente la tutela specifica alle sole ipotesi di nullità espressa, escludendo le ipotesi non espresse.
Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata, limitatamente alla parola "espressamente", consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l'espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.
12/12/2023 |SOMMINISTRAZIONE IRREGOLARE - IL LICENZIAMENTO INTIMATO DAL SOMMINISTRATORE IRREGOLARE NON HA EFFETTI ESTINTIVI DEL RAPPORTO
Dal 2020, è una norma di interpretazione autentica ad affermare esplicitamente che il licenziamento non rientra fra gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore i quali, per legge, sono da considerare imputabili all'effettivo utilizzatore della prestazione. Da ciò consegue che il licenziamento intimato dal somministratore irregolare non ha alcun effetto estintivo del rapporto di lavoro.
La Corte di Cassazione Sezione Lavoro, con la sentenza n. 30945/23, ha fatto retroattiva applicazione della norma di interpretazione autentica per dirimere un caso disciplinato dalla normativa previgente, ancora soggetta a dubbi interpretativi, seppur di tenore del tutto sovrapponibile alla nuova normativa.
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L'art. 38 D.Lgs. 81/2015 dispone: "1. In mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione di lavoro è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.
2. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell'utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.
3. Nelle ipotesi di cui al comma 2 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione.
4. La disposizione di cui al comma 2 non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni".
L'art. 80-bis, comma 1 D.L. 34/2020 conv. con L. 77/2020, con norma di interpretazione autentica, ha chiarito che "Il secondo periodo del comma 3 dell'articolo 38 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, ai sensi del quale tutti gli atti compiuti o ricevuti dal somministratore nella costituzione o nella gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti o ricevuti dal soggetto che ha effettivamente utilizzato la prestazione, si interpreta nel senso che tra gli atti di costituzione e di gestione del rapporto di lavoro non è compreso il licenziamento”.
Pertanto, ad essere automaticamente riferibili all'utilizzatore della prestazione sono soltanto quelli atti gestori che attengono alla somministrazione di per sé, ossia al rapporto in fieri e non alla sua cessazione.
Del resto la norma attualmente in vigore (art. 38 D. Lgs. 81/2015), così come la, pressocché del tutto sovrapponibile, norma previgente (art. 27 dell'abrogato D. Lgs. 276/03 – c.d. Legge Biagi), fa riferimento agli atti compiuti "... nella costituzione o nella gestione del rapporto", mentre non contempla la sua cessazione.
29/03/2022 |CONFIDI MINORE – VALIDITA’ DELLA FIDEIUSSIONE – SEZIONI UNITE CIVILI
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha definitivamente chiarito la validità delle fideiussioni prestate dal c.d. confidi minore, non trattandosi di attività riservata a soggetti autorizzati.
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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con Sentenza n. 8472 del 16/03/2022, pronunciando su questione di massima e di particolare importanza, hanno affermato che la fideiussione prestata da un cd. confidi minore, iscritto nell’elenco di cui all’art. 155, comma 4, T.u.b., applicabile ratione temporis, nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto non bancario, non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né la nullità è ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono «esclusivamente» la «attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali» per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario, in quanto il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b.), né è preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale.
18/03/2022 |PERMESSI EX LEGE 104 PER LA CURA DEI PARENTI DEL CONIUGE – ESTESI ANCHE ALLE UNIONI CIVILI
L'INPS, con Circolare n. 36 del 07.03.2022, ha chiarito la possibilità anche per le persone dello stesso sesso, unite civilmente ai sensi della Legge 76/2016, di usufruire dei permessi di cui alla Legge 104/1992 per assistere i parenti del partner e non solo quest’ultimo.
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Il problema sorgeva perché l’art. 78 c.c., che individua il rapporto di affinità tra il coniuge e i parenti dell’altro coniuge, non veniva espressamente richiamato dalla legge n. 76/2016 e, pertanto, nella seguente circolare applicativa INPS n. 38/2017 era stato seguito l’orientamento, a suo tempo condiviso con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, per cui tra una parte dell’unione civile e i parenti dell’altro non si costituiva un rapporto di affinità.
Derivava da tale interpretazione che, mentre un coniuge poteva utilizzare, ricorrendone i presupposti, i permessi ex Lege 104 per assistere il parente dell’altro coniuge, la parte unita civilmente, invece poteva fruirne soltanto per assistere l’altra parte (e, dunque, esclusivamente il partner dello stesso sesso) ma non i parenti di quest’ultimo.
L’INPS, con la circolare menzionata, ha espressamente riconosciuto che “Successivamente, su espresso parere del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali viene sottolineata la necessità di modificare tale posizione, potendosi configurare altrimenti una discriminazione per orientamento sessuale”.
Pertanto, l’Ente Previdenziale ha fornito le nuove istruzioni operative per consentire l’accesso alla tutela da parte dell’unito civilmente, rimuovendo la disparità di trattamento esistente rispetto agli uniti in matrimonio.
08/06/2021 |DIRITTO ALLA REINTEGRA - NUOVA SCURE DELLA CORTE COSTITUZIONALE ALLA LEGGE FORNERO
La Corte Costituzionale con sentenza n. 59 del 01.04.2021, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 18 settimo comma dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla Legge 92/2021 (meglio nota come Legge Fornero), nella parte in cui prevede la facoltà e non l’obbligo del Giudice di disporre la reintegra del Lavoratore che sia stato vittima di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, dichiarato illegittimo per accertata manifesta insussistenza del fatto.
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L’intervento della Corte Costituzionale è motivato dall’ingiustificata disparità di trattamento sanzionatorio in caso di accertamento dell’insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento per ragioni soggettive (es. licenziamento disciplinare) rispetto a quello sorretto da ragioni oggettive (es. tipico il licenziamento economico motivato da perdite di commesse o riorganizzazioni aziendali).
L’art. 18 comma 7 come modificato dalla Legge Fornero disponeva “Può altresì applicarela predetta disciplina (tutela reintegratoria attenuata di cui al quarto comma del medesimo articolo 18, ndr.) nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo”.
Dopo l’intervento della Corte Costituzionale, l’inciso “Può altresì applicare” deve leggersi sostituito con “Applica altresì”, nozione che sottrae discrezionalità al Giudice del Lavoro nella scelta se applicare o meno la tutela reintegratoria che, pertanto, deve essere disposta.
10/12/2020 |VOLI CANCELLATI – VOUCHER O RIMBORSO – UN DIRITTO NEGATO O SEMPLICEMENTE DIFFERITO ?
Per le cancellazioni intervenute successivamente la data del 31.07.2020, il rimborso mediante l'emissione dei vouchers è rimesso all’espressa accettazione del passeggero.
Il problema rimasto al tappeto riguarda le cancellazioni intervenute prima di tale data perchè la normativa nazionale d'emergenza autorizzava i vettori aerei ad emettere i buoni senza che fosse necessaria l’accettazione del beneficiario.
La questione richiede, attraverso il vaglio di compatibilità della normativa nazionale con quella europea, di contemperare i diritti dei consumatori con l'improvvisa carenza di liquidità dei vettori aerei in conseguenza del violentissimo impatto dell’emergenza sanitaria.
Ai Giudici di Pace l’ardua sentenza.
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L’emergenza Covid 19 ha causato una massiccia cancellazione dei voli prenotati e pagati.
Il conseguente, pacifico, diritto dei passeggeri ad ottenere la restituzione di quanto pagato si è scontrato con una grave carenza di liquidità delle Compagnie aeree, del tutto impreparate ad affrontare un’emorragia di danaro di proporzioni importanti ed improvvise.
E’ così intervenuto il Legislatore nazionale che, con L. 27/2020 di conversione del D.L. 18/2020 (c.d. Cura Italia), ha inserito l’ormai famoso agli addetti della materia articolo 88 bis, mediante il quale ha disposto la rimborsabilità del prezzo del volo cancellato mediante l’emissione di un voucher utilizzabile entro un anno. L'emissione dei vouchers previsti dalla normativa, precisa il Legislatore, “… assolve i correlativi obblighi di rimborso e non richiede alcuna forma di accettazione da parte del destinatario”.
Ovviamente, la normativa veniva immediatamente osteggiata dai Consumatori e della questione venivano investite la Commissione Europea e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
La prima, con Raccomandazione del 13.05.2020, ha sostanzialmente riaffermato, nella parte motiva, il diritto ultimo del passeggero ad ottenere il rimborso in danaro senza, però, ostacolare la pratica del voucher ed, anzi, offrendo precisi parametri utili a promuoverne l’accettazione generalizzata da parte del consumatore, in luogo del rimborso monetario.
La Commissione, in particolare, ha rassegnato delle “Caratteristiche raccomandate” che i buoni emessi dal vettore devono possedere, ossia, principalmente: validità minima di 12 mesi, rimborso automatico del buono non utilizzato entro 14 giorni dalla scadenza, fruibilità del voucher per il pagamento di servizi prestati anche dopo la sua scadenza, utilizzabilità frazionata, trasferibilità senza costi aggiuntivi e protezione in caso di insolvenza; ed ha concluso esprimendo raccomandazione alle organizzazioni dei consumatori e dei passeggeri a livello nazionale e dell'Unione di “…incoraggiare i viaggiatori e i passeggeri ad accettare, in luogo di un rimborso in denaro, buoni che presentino le caratteristiche e godano della protezione in caso di insolvenza descritte nella presente raccomandazione ”.
A sua volta, l’AGCM, rilevato il contrasto fra l’art. 88 bis citato e la normativa europea in materia, anche alla luce della Raccomandazione 13.05.2020 della Commissione, ha riferito la questione agli organi istituzionali ed aperto un procedimento a carico di alcune compagnie aeree.
Il Legislatore è, così, intervenuto con D.L. 34/2020, convertito con L. 77/2020, introducendo modifiche al predetto art. 88 bis, che hanno esteso la durata dei vouchers da 12 a 18 mesi e conformato la relativa disciplina di fruizione e riscatto ai dettami della Raccomandazione europea. Tale modifica è applicabile ai rapporti instaurati dall’11 marzo 2020 al 30 settembre 2020, per i quali è intervenuto il recesso entro il 31 luglio 2020.
Ed è proprio con riguardo alle cancellazioni rientranti nel periodo di applicabilità della citata normativa nazionale d’emergenza che pende il contenzioso perché, se da un lato, i vettori, in forza della normativa stessa, provvedevano ad emettere i vouchers di rimborso (che, come detto, non richiedono l’accettazione del destinatario), dall’altro lato, molti passeggeri li rifiutavano ed oggi rivendicano giudizialmente il rimborso immediato in forma monetaria, appellandosi al principio della necessaria accettazione del buono ribadito in sede comunitaria.
Mentre attendo l'esito giurisprudenziale, mi sorge spontanea una riflessione.
Mi chiedo infatti se abbia senso, nel contesto descritto, parlare di negato diritto al rimborso o se, piuttosto, non sia più appropriato inquadrare la vertenza in termini di un diritto del consumatore, semplicemente, ad esigibilità differita alla scadenza del buono o, al più tardi, a dodici mesi.
Messa in questi termini, considerata l’indubbia eccezionalità dell’accaduto pandemico non imputabile ad alcuna delle parti e l’impatto violento sull’esecuzione dei contratti di trasporto aereo ed, in generale, nel settore dell’aviazione, ritengo che la normativa nazionale, nella parte in cui esclude espressamente l’accettazione del buono da parte del passeggero, possa essere salvata dalla scure del contrasto con il diritto comunitario.
25/05/2020 |L'INDENNITA' SOSTITUTIVA DEL PREAVVISO HA NATURA RETRIBUTIVA E NON RISARCITORIA
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 242/2020, ha ribadito che l'indennità sostitutiva del preavviso ha natura retributiva e non risarcitoria.
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Il Collegio, pur non ignorando che l'argomento circa la natura retributiva ovvero risarcitoria dell'indennità sostitutiva del preavviso è dibattuto nella Giurisprudenza, ha però rilevato che il contrasto "... è ormai risolto nel senso di ritenerne la natura retributiva ... o, quanto meno, nell'escluderne la natura risarcitoria".
Nel caso delibato dalla Corte d'Appello meneghina la questione veniva sollevata quale argomento giuridico per addivenire ad una diversa quantificazione delle indennità medesime.
30/03/2020 |PATTO FIDUCIARIO RELATIVO A BENI IMMOBILI: E' VALIDA LA PATTUIZIONE VERBALE ?
Al quesito risponde la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con sentenza n. 6459 del 06.03.2020, componendo un contrasto giurisprudenziale in atto.
In particolare, la Suprema corte, aderendo al filone minoritario ma più recente, ha chiarito che il pactum fiduciae avente ad oggetto un bene immobile non necessita della forma scritta per la sua validità.
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Nel caso di specie, l'attore aveva convenuto in giudizio i fratelli fiduciari per sentirli condannare a ritrasferire in suo favore un bene immobile, in quanto reale proprietario in forza del patto fiduciario intercorso.
L'attore aveva prodotto in giudizio uno scritto contenente (non la pattuizione fiduciaria, in quanto, appunto, era stata conclusa fra le parti solo verbalmente, ma) una dichiarazione unilaterale dei fratelli avversari ricognitiva dell'intervenuta pattuizione fiduciaria verbale.
La Corte Suprema ha chiarito che il patto fiduciario non può essere considerato alla stregua di un contratto preliminare ma, semmai, di un mandato senza rappresentanza; pertanto, è valida la pattuizione verbale anche se riguardante un bene immobile.
L'atto ricognitivo è, tuttavia, molto importante sul piano probatorio, al fine di provare in giudizio la ricorrenza del pactum fiduciae.
Ritenuta idonea la dichiarazione unilaterale a tal fine, il convenuto fiduciario è stato condannato, ex art. 2932 c.c., a ritrasferire al fratello fiduciante la proprietà dell'immobile.
Per un ulteriore approfondimento, si veda l'articolo pubblicato nella sezione dedicata di questo sito, cliccando qui.
11/03/2020 |RAPPORTI DI VICINATO - LIMITI AL DIRITTO DI PROPRIETA': GLI ATTI EMULATIVI
Ognuno, a casa propria, fa quello che vuole. E' veramente così ?
No perchè c'è un limite ed è quello stabilito dall'art. 833 c.c., che vieta i c.d. atti emulativi.
In forza di tale esplicita disposizione, il proprietario non può compiere atti che non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.
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La Giurisprudenza è piuttosto rigorosa nell'applicazione della norma e stabilisce costantemente che l'atto contestato è legittimo se risponde ad una utilità, ancorchè minima, per il proprietario che l'ha compiuto.
Occorre, dunque, valutare caso per caso se l'atto compiuto dal vicino dispettoso possa considerarsi emulativo oppure no.
Ad esempio, è stato ritenuto emulativo l'atto del proprietario di stendere i panni proprio sopra la proprietà del(l'odiato) vicino quando, per le caratteristiche dei luoghi, ben avrebbe potuto stendere qualche metro oltre, ad esposizione invariata. In tale caso, la fissazione di voler stendere proprio in quel punto è stato ritenuto un atto emulativo e, dunque, vietato.
E', parimenti, emulativa l'iniziativa di posizionare delle fioriere a confine fra le due proprietà, con la scusa di voler delimitare il confine stesso, quando, per le caratteristiche dei luoghi, tale iniziativa ha, da un lato, reso estremamente impervio l'accesso carrabile alla proprietà dell'odiata vicina e, dall'altro, addirittura precluso tale accesso carraio al proprietario che le ha apposte, senza peraltro alcuna minima attitudine alla chiusura del fondo (da qui, la palese deduzione dell'intento emulativo).
23/10/2019 |POSSO DIMETTERMI SENZA PERDERE IL TRATTAMENTO DI DISOCCUPAZIONE ?
Molte volte mi viene posta questa domanda. Il lavoratore, spesso di lungo corso, e' esasperato dalla situazione lavorativa venutasi a creare (magari per comportamenti di mobbing datoriali, ma non necessariamente) e per sua serenità (e salute) personale vorrebbe andarsene, ma avrebbe bisogno di un paracadute economico per fronteggiare il periodo di disoccupazione sino al reperimento di altro impiego. Molti mi chiedono dunque come far cessare il rapporto lavorativo conservando il diritto alla Naspi.
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Il trattamento di disoccupazione viene erogato in caso di perdita involontaria del posto di lavoro.
E' per questa ragione che, per regola generale, il diritto viene perduto se il lavoratore rassegna le dimissioni, in quanto atto volontario.
Solo se le dimissioni vengono rassegnate per giusta causa, allora diviene preminente l'elemento costrittivo e non volontario della decisione dimissionale con conseguente conservazione del diritto a percepire l'indennita' di disoccupazione.
Integrano la giusta causa tutti quei comportamenti datoriali che non consentono la prosecuzione neanche provvisoria del rapporto lavorativo. La Giurisprudenza considera giusta causa di dimissioni, ad esempio, il mancato pagamento dello stipendio, il demansionamento, il mobbing o comunque l'esistenza di comportamenti vessatori da parte dei superiori gerarchici o dei colleghi che comportino una seria compromissione dell'equilibrio psico-fisico del lavoratore, importanti modifiche agli elementi essenziali del rapporto di lavoro che vanno esaminate caso per caso.
Ora, in presenza della giusta causa, il lavoratore puo' rassegnare le dimissioni, avendo cura di flaggare la casella 'dimissioni per giusta causa' nel portale INPS dedicato.
Attenzione ! Perche' cio' non e' sufficiente.
Con Messaggio n. 369/2018, richiamando la Circolare n. 163/2003, l'INPS esige che la domanda del lavoratore per il trattamento Naspi presentata a seguito di dimissioni per giusta causa sia corredata da "... una documentazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui agli articoli 38 e 47 del D.P.R n. 445/2000) da cui risulti almeno la sua volontà di “difendersi in giudizio" nei confronti del comportamento illecito del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d'urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonche' ogni altro documento idoneo), impegnandosi a comunicare l'esito della controversia giudiziale o extragiudiziale".
Il trattamento Naspi verra' cosi' erogato ma sara' fondamentale per il lavoratore coltivare la vertenza contro il datore di lavoro, seppur questa possa concludersi con un accordo transattivo che prevenga la causa giudiziale.
E' appena il caso di precisare che, qualora l'esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l'INPS procedera' al recupero di quanto pagato al lavoratore a titolo di indennita' di disoccupazione.
15/10/2019 |IL DANNO DA DEMANSIONAMENTO. I CRITERI PER CALCOLARLO.
Il lavoratore ha diritto ad essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto. Qualora illegittimamente demansionato (ossia, adibito a mansioni inferiori), il dipendente ha diritto ad essere risarcito del danno subìto.
In cosa consiste il danno ? E come si calcola ?
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Se vi è stata decurtazione dello stipendio, innanzitutto sussiste un danno patrimoniale rappresentato dalla differenza fra la retribuzione dovuta e quella effettivamente pagata.
Deve essere, altresì, risarcito il danno non patrimoniale da dequalificazione professionale che, invece, viene calcolato in via necessariamente equitativa. Sotto tale profilo, i Tribunali quantificano il nocumento utilizzando un criterio percentuale sullo stipendio dovuto al dipendente moltiplicato per ogni mese di effettivo demansionamento. La misura percentuale viene equitativamente stabilita dal Giudice in relazione alla gravità dello svilimento professionale (in termini di modalità e di durata).
Nei casi più gravi, il demansionamento può arrecare al dipendente anche un danno alla salute, stante l’idoneità della condotta svilente datoriale a compromettere l’equilibrio psico-fisico del dipendente. Tale danno andrà risarcito utilizzando le Tabelle di danno biologico elaborate dai Tribunali, le quali forniscono puntuali criteri di stima in relazione all’età del danneggiato ed alla percentuale di danno biologico, permanente e/o temporaneo, accertata in sede medico legale.
11/07/2019 |AZIONE DI MANTENIMENTO DIRETTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE - RITO CAMERALE
Il Tribunale di Busto Arsizio istruisce la domanda di mantenimento diretto del figlio maggiorenne con le forme, snelle e veloci, del rito camerale.
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La pronuncia, recentissima (giugno 2019), è interessante non dal punto di vista sostanziale, posto che le parti (la ricorrente figlia maggiorenne ed i suoi genitori) hanno raggiunto un accordo direttamente in udienza, bensì dal punto di vista procedurale.
Ancora oggi, infatti, nel silenzio della Legge, è dibattuto se il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente che voglia ottenere il mantenimento diretto da parte dei suoi genitori debba introdurre l’azione con il rito ordinario (e, quindi, mediante la notifica dellatto di citazione) oppure se possa utilizzare il più comodo e celere rito camerale (da introdurre con ricorso).
Il Tribunale di Busto Arsizio, a fronte del ricorso presentato dalla figlia maggiorenne per mezzo della scrivente, ha trattato il procedimento con le forme del rito camerale.
28/05/2019 |IL 'TEMPO TUTA' DEVE ESSERE RETRIBUITO SE C'E' ETERODIREZIONE
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 5437/2019.
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Per anni si e' discusso nelle Corti riguardo il diritto del lavoratore ad essere retribuito per il tempo occorrente ad indossare e levare la divisa di lavoro.
La Giurisprudenza e' ormai consolidata nel ritenere che il tempo necessario alle operazioni di vestizione / svestizione della divisa (quantificato, per comune esperienza, in dieci minuti) debba essere remunerato ogni qualvolta vi sia eterodirezione, ossia, sostanzialmente, quando il lavoratore e' costretto ad effettuare tali operazioni presso i locali aziendali (ad esempio perche' e' fatto espresso obbligo al dipendente di custodire la divisa nell'armadietto aziendale per ragioni igieniche e/o di sicurezza oppure perche' la costrizione deriva di fatto dalla tipologia di indumento da indossare "quando gli stessi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalita' sociale dell'abbigliamento").
In caso contrario, ossia qualora il lavoratore sia libero di scegliere il momento ed il luogo per indossare / rimuovere la divisa, il tempo occorrente non dovra' essere retribuito, in quanto - chiarisce la Suprema Corte - le operazioni de quibus si configurano come "atti di diligenza preparatoria all'esecuzione della prestazione e, come tali, non sono retribuiti".
14/03/2019 | LICENZIAMENTO INTIMATO PRIMA DELLA SCADENZA DEL COMPORTO E' NULLO
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 12568/2018, componendo un importante e risalente contrasto giurisprudenziale, ha stabilito che il licenziamento intimato prima della scadenza del periodo di comporto E' radicalmente nullo e non solamente inefficace.
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Le conseguenze pratiche della declaratoria di nullita', anziche' di quella dell'inefficacia sono abissali: nel primo caso, il lavoratore e' assistito dalla reintegrazione nel posto di lavoro; nel secondo caso, l'effetto espulsivo permane, pur venendo differito al momento della maturazione del comporto per malattia, senza necessita' di formalizzare un altro ed autonomo atto di recesso.
25/01/2019 | CONIUGE REINTEGRATO NEL POSSESSO DELLA CASA FAMILIARE CON PROVVEDIMENTO D'URGENZA
In crisi coniugale, la moglie, con uno stratagemma e senza attendere gli esiti del processo separativo, rassegnava il marito a recarsi dai genitori per qualche giorno, privandolo delle chiavi di casa ed impedendogli, successivamente e definitivamente, il rientro, attuato mediante il rifiuto di riconsegnare le chiavi di accesso e di aprire la porta alla richiesta.
Nell'accogliere il ricorso d'urgenza proposto dal marito (azione di reintegrazione nel possesso), il Tribunale di Busto Arsizio ha condannato la moglie a re-immettere il consorte nel godimento dell'abitazione ed alla rifusione delle spese legali.
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L'art. 1168, I comma, c.c. dispone: "Chi e' stato violentemente od occultamente spogliato del possesso puo', entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo".
Il Tribunale di Busto Arsizio, nell'ordinanza in commento, ha vagliato, uno ad uno, tutti i presupposti per l'utile esperimento del ricorso proposto, ritenendoli integrati.
Degna di nota e' la precisazione che sussiste "... il profilo della violenza (omissis) nel semplice fatto di non restituire, come e' accaduto nel caso di specie, le chiavi di casa al ricorrente e di non permettergli, nonostante richieste in tal senso, l'accesso all'abitazione".
24/01/2019 | LICENZIAMENTO INDIVIDUALE PER MOTIVI ECONOMICI - I CRITERI DA SEGUIRE NELLA SCELTA DEL LAVORATORE DA ESPELLERE
Mentre nelle ipotesi di licenziamento collettivo per riduzione del personale la Legge (L. 223/1991) prevede l'obbligo del datore di lavoro di rispettare dei precisi criteri nella scelta dei lavoratori da espellere, nulla e' invece previsto in ipotesi di licenziamento individuale.
La Corte di Cassazione con sentenza n. 31652/2018, mettendo ordine e consolidando il panorama giurisprudenziale formatosi negli anni, ha sancito l'applicabilita' dei medesimi criteri di scelta previsti per i licenziamenti collettivi, anche a quelli individuali.
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In conformita' all'art. 5 L. 223/1991, dunque, anche i datori di lavoro che intendono licenziare meno di cinque unita' di personale per motivi economici (licenziamento per giustificato motivo oggettivo) dovranno, nella selezione, rispettare i seguenti criteri di scelta, in concorso tra loro: a) carichi di famiglia; b) anzianita' aziendale; c) ed esigenze tecnico-produttive ed organizzative, a cui possono comunque aggiungersi altri criteri, purche' oggettivi e giustificati dalla fattispecie concreta e mai arbitrari o non verificabili.
La Suprema Corte ha chiarito che l'esigenza di ancorarsi a precisi criteri di scelta accomuna anche la selezione di una unita' di personale, scaturendo dall'obbligo per il datore di lavoro di rispettare il generale dovere di correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 c.c.) nell'attuazione del contratto di lavoro.
12/12/2018 | ATTENZIONE AI SEDICENTI AVVOCATI. CONTROLLATE SEMPRE IL NOMINATIVO NELL'ALBO NAZIONALE FORENSE
Commette il reato di esercizio abusivo della professione colui che, qualificandosi quale avvocato, compie atti caratteristici della professione forense, ancorche' non riservate in via esclusiva. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione penale, con sentenza n. 52619 del 22.11.2018.
Verificate sempre se il professionista a cui avete affidato l'incarico risulta iscritto nell'apposito Albo Nazionale pubblicato sul sito internet www.consiglionazionaleforense.it, nella sezione Avvocati.
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La verifica degli iscritti puo' essere effettuata anche attraverso la consultazione degli Albi tenuti dai singoli Ordini professionali. In tale caso, solo quelli che figurano nella categoria Avvocati, lo sono; qualora figurino nella categoria Prat. Sempl. (praticante semplice), significa che l'iscritto e' un mero praticante non abilitato al patrocinio; se figura invece nella categoria Prat. Abil. significa che e' un praticante abilitato al patrocinio esclusivamente nei contenziosi di minore entita', precisamente stabiliti dalla Legge.
30/11/2018 | TUTELE CRESCENTI - PUBBLICATA LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
La Corte Costituzionale chiarisce che l'indennitA' risarcitoria per ingiustificato licenziamento, laddove non prevista la reintegrazione, deve essere calcolata, nel rispetto dei limiti minimo e massimo stabiliti dalla Legge, tenendo conto dell'anzianita' di servizio, del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attivita' economica e del comportamento e condizioni delle parti.
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La Corte ha ben evidenziato come l'utilizzo del criterio della sola anzianita' di servizio impedisce un'adeguata modulazione dell'indennita' di licenziamento, riducendola ad un asettico calcolo matematico certo e precostituito, sacrificando la finalita' riparatoria per il lavoratore, da un lato, e la finalita' dissuasiva dall'intraprendere pretestuose misure espulsive per il datore di lavoro.
Il Giudice delle Leggi ha, cosi', restituito al Giudice del Lavoro il potere di determinare l'indennita' di licenziamento, modulandola al caso concreto.
22/10/2018 | MOBBING - E' MALATTIA PROFESSIONALE. RICONOSCIUTA L'INDENNIZZABILITA' INAIL
Provata la condotta mobbizzante del datore di lavoro ed il nesso di causalita' con la patologia insorta, l'Inail deve indennizzare il lavoratore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 20774 del 17.08.2018.
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La Suprema Corte, ribadendo orientamenti precedenti risalenti ma costanti in materia, ha precisato essere indennizzabili non solo le malattie professionali tabellate, ma anche "... tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalita' della sua esplicazione", poiche' "... rileva non soltanto il rischio specifico proprio della lavorazione, ma anche il c.d. rischio specifico improprio, ossia non strettamente insito nell'atto materiale della prestazione ma collegato con la prestazione stessa".
Fra i vari precedenti richiamati, la Corte di Cassazione ha citato la sentenza n. 3227/2011, che aveva ritenuto applicabile la protezione assicurativa dell'INAIL alla malattia riconducibile all'esposizione al fumo passivo di sigaretta subita dal lavoratore nei luoghi di lavoro, sancendo l'estensione della tutela anche al rischio ambientale.
15/10/2018 | DIVORZIO - QUANDO SPETTA LA PENSIONE DI REVERSIBILITA'
La pensione di reversibilita' non spetta al coniuge divorziato che abbia concordato ed ottenuto la corresponsione dell'assegno divorzile in un'unica soluzione.
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Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 22434 del 24.09.2018.
In generale, e' noto che l'assegno divorzile viene normalmente corrisposto mediante erogazioni mensili. Tuttavia, l'accordo delle parti puo' prevedere la sua corresponsione una tantum, ossia in via anticipata ed in unica soluzione.
Il Supremo Collegio ha ora definitivamente chiarito che solo nella prima ipotesi e non nella seconda, al coniuge spetti la pensione di reversibilita'.
03/10/2018 |MOBILITA' INTERPROVINCIALE INSEGNANTI
Il Tribunale di Busto Arsizio, con ordinanza del settembre 2018, ha dichiarato NULLE le disposizioni del CCNI che impediscono agli insegnanti destinatari della Legge 104/92 per l'assistenza ai familiari in situazione di grave disabilita' di beneficiare del DIRITTO DI PRECEDENZA NEI TRASFERIMENTI INTERPROVINCIALI ai fini delle ASSEGNAZIONI DEFINITIVE.
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Il Tribunale di Busto Arsizio, nel dichiarare nulli gli articoli 6 e 13 del CCNI per contrarieta' alle norme imperative ex art. 33, L. 104/92 e art. 601, D. Lgs. 297/94, ha cosi' accolto, in via cautelare, la domanda dell'insegnante di essere trasferita in via definitiva in una delle sedi scelte nella domanda di mobilita' interprovinciale, al fine di poter assistere i familiari in condizione di handicap grave accertato.
Nel caso di specie, gli articoli 6 e 13 del CCNI (dichiarati nulli) impedivano all'insegnate di beneficiare del diritto di precedenza nel trasferimento interprovinciale, limitando il beneficio stesso alla sola fase di mobilita' provinciale oppure ai soli fini delle assegnazioni provvisorie (e non definitive).
01/10/2018 |TUTELE CRESCENTI - DICHIARATO INCOSTITUZIONALE IL CRITERIO DI CALCOLO DELL'INDENNITA' DI LICENZIAMENTO
E' illegittimo determinare l'indennita' per l'ingiustificato licenziamento, parametrandola rigidamente in funzione del solo parametro dell'anzianita' aziendale.
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Come noto, a tutti gli assunti dal 07 marzo 2015, si applica il D. Lgs. 23/2015 (c.d. Jobs Act), anziche' l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
L'art. 3 comma 1 del decreto citato prevede che, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilita' dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilita'.
Tale criterio di calcolo dell'indennita' e' stato dichiarato incostituzionale.
Si attende il deposito di tale importantissima pronuncia della Consulta, per comprendere meglio gli scenari che si apriranno in tema di tutela del lavoratore illegittimamente espulso.
25/09/2018 |INFORTUNIO IN ITINERE
La copertura assicurativa INAIL sussiste anche in caso di infortunio in itinere in bici. Lo afferma la Corte di Cassazione con sentenza n. 21516/2018.
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L'art. 210 ultimo comma del Testo Unico n. 1124/1965 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) dispone che "l'assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purche' necessitato".
Nel caso di specie, il lavoratore utilizzava la bicicletta per recarsi sul posto di lavoro, stante l'assenza di una rete di pubblico trasporto e l'impossibilita' di percorrenza a piedi. Subito l'infortunio durante il tragitto, si vedeva respingere la copertura assicurativa INAIL perche' mezzo non necessitato.
La Corte di Cassazione, nell'affermare, al contrario, la necessita' del veicolo utilizzato, ha richiamato, fra l'altro, una sopravvenuta modifica legislativa al predetto Testo Unico, operata con Legge 221/2015, che stabilisce "l'uso del velocipede, come definito ai sensi dell'articolo 50 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, deve, per i positivi riflessi ambientali, intendersi sempre necessitato".
10/09/2018 |SEPARAZIONE DEI CONIUGI - ADDEBITO - RISARCIMENTO DANNI
Per ottenere la pronuncia di addebito della separazione, e' fondamentale fornire la prova del fatto che la relazione extraconiugale sia causa esclusiva ed efficiente del naufragio del matrimonio. Il Tribunale di Varese, con una sentenza di inizio anno 2018, riafferma un principio di diritto restrittivo.
Confermata, invece, l'inammissibilita' della domanda risarcitoria nell'ambito del giudizio separativo; domanda che deve essere proposta in separata sede ordinaria.
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In tema di pronuncia di addebito della separazione, la Giurisprudenza si divide fra chi sostiene che, una volta provata l'esistenza della relazione coniugale, spetti al coniuge adultero fornire la prova (liberatoria) che la crisi coniugale era gia' in atto (ponendosi, cosi', la relazione adulterina come conseguenza della crisi e non gia' come fattore scatenante) e chi, al contrario, come il Tribunale di Varese, ritiene che l'onere probatorio incomba interamente sul coniuge virtuoso che domandi l'addebito della separazione.
Il Tribunale varesino conferma invece la tesi dominante che nega la possibilita' di ottenere il risarcimento dei danni quale conseguenza della violazione dei doveri coniugali da parte del consorte nell'ambito del giudizio separativo per difetto di connessione ex art. 40 c.p.c.. Il coniuge che pretenda il risarcimento dei danni, dunque, dovra' proporre la relativa domanda in separata sede civile contenziosa ordinaria.
05/09/2018 |SOCIETA' IN ACCOMANDITA SEMPLICE - SOCIO ACCOMANDANTE
Risponde col proprio patrimonio personale il socio accomandante che compia atti gestori, operando come amministratore di fatto.
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Il Tribunale di Milano, con una sentenza del 27.10.2017, ha accolto la domanda svolta dallo studio di vedere condannato il socio accomandante a concorrere pro quota nel pagamento di tutti i debiti sociali poiche', ad insaputa dell'accomandatario, aveva contratto obbligazioni per la societa', vincolandola contrattualmente verso i terzi ed assumendo, pertanto, il ruolo di amministratore di fatto, in violazione dei divieti previsti dall'art. 2320 c.c..
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